Bologna, 3 gennaio 2022
(avv. Antonello Tomanelli)
Sul web e su alcuni social circola la notizia secondo cui chi subisce danni per effetto della inoculazione del vaccino anti-Covid non avrebbe diritto ad alcun ristoro. Ciò rende doverosa qualche precisazione.
L’art. 1 della Legge 25 febbraio 1992, n. 210 stabilisce che “Chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato”.
Non qualsiasi effetto collaterale, quindi, fa sorgere il diritto all’indennizzo. Ma solo quelli che determinano un’invalidità permanente. Un indennizzo che viene richiesto allo Stato, tramite una procedura che investe l’Ausl competente. Tuttavia, non sono valori molto soddisfacenti, se si pensa che l’evento-morte garantisce agli aventi diritto una somma inferiore agli 80 mila Euro.
C’è chi sostiene di essersi rivolto alla Ausl per sentirsi rispondere che l’indennizzo non è dovuto in quanto la vaccinazione anti-Covid non è prevista dalla legge come obbligatoria. Verrebbe quindi meno il presupposto fondamentale indicato dall’art. 1.
Ma non è così. Non c’è dubbio che attualmente l’obbligatorietà sussiste per il personale sanitario, per quello scolastico e per i comparti difesa, sicurezza, soccorso pubblico, polizia locale, amministrazione penitenziaria. Tutti coloro che sono incardinati in questi settori, infatti, non possono usufruire dell’alternativa del tampone ogni 48 ore. Tra l’altro, il Governo non nasconde l’intenzione di estendere l’obbligo di vaccinazione a chicchessia, eliminando la possibilità di effettuare il tampone.
Ma anche l’alternativa del tampone non basta ad escludere il carattere obbligatorio della vaccinazione. Lungi dal temperare la sua natura obbligatoria, il ricorso al tampone al contrario la aggrava, imponendo ogni 48 ore al non vaccinato un non indifferente dispendio di energie, peraltro con relativi oneri a suo carico. Di questo aspetto si è parlato qui, rilevando una restrizione ex art. 13 Cost. della libertà personale di chi è obbligato a ricorrere a quella scomoda alternativa.
Tuttavia, anche volendo per un momento ammettere che l’attuale normativa non configura, almeno per i più, un obbligo di vaccinazione, va guardata con la massima attenzione la giurisprudenza della Corte Costituzionale formatasi proprio sulla citata legge n. 210 del 1992.
Se è vero che tale legge prevede l’indennizzo esclusivamente in caso di danno (permanente) subìto per effetto di una vaccinazione obbligatoria, è anche vero che la Corte Costituzionale ha gradualmente esteso l’indennizzo fino a garantirlo anche per le vaccinazioni “raccomandate”.
Lo ha fatto attraverso una serie di interventi che vanno sotto il nome di “sentenze manipolative di accoglimento additive”, che è quel particolare tipo di sentenza con cui l’Alta Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una legge “nella parte in cui non prevede” un qualcosa che invece, secondo la Corte, avrebbe dovuto prevedere. In sostanza, attraverso questo tipo di sentenza la Corte si sostituisce al Legislatore “aggiungendo” al testo una norma che a suo avviso manca.
Il primo intervento si ebbe con la sentenza 26 febbraio 1998, n. 27, quando venne dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 L. n. 210/1992 “nella parte in cui non prevede il diritto all’indennizzo di coloro che siano stati sottoposti a vaccinazione antipoliomelitica nel periodo in cui essa non era giuridicamente obbligatoria”. È il primo passo verso il riconoscimento dell’indennizzo per i danni patiti a seguito di vaccinazioni non obbligatorie.
Infatti, con sentenza 16 ottobre 2000, 423, la Corte dichiarò l’illegittimità costituzionale della stessa norma “nella parte in cui non prevede il diritto all’indennizzo di coloro che siano stati sottoposti a vaccinazione antiepatite B a partire dall’anno 1983, non obbligatoriamente ovvero a seguito di una campagna legalmente promossa dall’autorità sanitaria per la diffusione di tale vaccinazione”. Poi, con sentenza 26 aprile 2012, n. 107 estese l’indennizzo anche per le vaccinazioni contro “morbillo, parotite e rosolia”. Con sentenza 14 dicembre 2017, n. 268 lo estese alla “vaccinazione antinfluenzale”. Fino ad arrivare in tempi recenti (sentenza 23 giugno 2020, n. 118) con la previsione dell’indennizzo in caso di danni permanenti da vaccinazione contro il contagio del virus dell’epatite A.
Comune denominatore delle citate sentenze è che la collettività debba accollarsi i costi degli effetti dannosi non solo delle vaccinazioni obbligatorie, ma anche di quelle raccomandate. Sarebbe, infatti, irragionevole riservare un trattamento deteriore a chi ha aderisce ad una raccomandazione rispetto a chi adempie ad un obbligo, poiché l’aspetto solidaristico è ben più presente in chi volontariamente si fa inoculare un vaccino.
Ne deriva che quanto previsto dalla citata normativa va riferito anche alla vaccinazione anti-Covid, con la conseguente illegittimità del rifiuto opposto da una Ausl a chi, tramite essa, chiede allo Stato l’indennizzo previsto dall’art. 1 L. n. 210/1992.