Bologna, 20 novembre 2025
(avv. Antonello Tomanelli)
Ciò che deve allarmare del caso Garofani non sono le parole del segretario del Consiglio Supremo di Difesa, stretto collaboratore di Mattarella, che in occasione di una cena per beneficienza tenutasi alla terrazza Borromini di Piazza Navona e rivolgendosi ai commensali, ha auspicato per le prossime elezioni politiche la creazione di una lista civica nazionale che comprenda un po’ tutti, insieme a un «provvidenziale scossone» per liberare gli italiani dal giogo del governo Meloni.
«Sono chiacchiere da bar», avrebbe commentato il diretto interessato, dunque confermando ogni sua parola, probabilmente registrata. In effetti, non si può impedire a un alto funzionario di esprimere, al di fuori di qualsiasi contesto anche solo ufficioso, la propria visione politica, peraltro ampiamente nota agli addetti ai lavori, visto che Garofani è stato per ben tre volte parlamentare del PD. Ciò che dovrebbe allarmare è la nota del Quirinale, quella sì ufficiale, originata proprio dall’attacco portato dal capogruppo FDI alla Camera Galeazzo Bignami nei riguardi del consigliere Garofani, al quale ha semplicemente chiesto una smentita, riprendendo un articolo del quotidiano «La Verità».
«Si registra stupore per le dichiarazioni del capogruppo alla Camera del partito di maggioranza relativa, che sembrano dar credito a un ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica costruito sconfinando nel ridicolo». È la reazione del Quirinale. Un giudizio pesante, quasi ingiurioso, considerando la pacatezza dei toni che generalmente avvolge le sue note ufficiali. Insomma, la colpa di Bignami risiederebbe nell’aver chiesto conto a Garofani di quelle parole, espressione di una inintaccabile libertà di pensiero, ma che non possono non lasciare perplessi se si considera il tenore dei consigli che Garofani potrebbe dare a Mattarella, tenendo a mente il «provvidenziale scossone».
Ora, capisco che ai piani alti del Quirinale possa apparire ridicola la supposta iniziativa di far fuori politicamente la Meloni. Ma non mostrare alcun imbarazzo per la posizione espressa in un evento, seppur irrilevante ma comunque pubblico, da un alto funzionario come il segretario del Consiglio Supremo di Difesa (che risponde alle direttive del Governo Meloni ma è presieduto da Mattarella), è un atteggiamento che dovrebbe far riflettere.
Se la nota ufficiale del Quirinale avesse recitato come «È ridicolo pensare a un piano per destabilizzare il governo e Garofani è un pazzo», almeno avrebbe avuto un senso. Ma che il Quirinale abbia fatto quadrato intorno a un personaggio del genere e nel contempo risposto con scherno ad una pura richiesta di chiarimenti, fa pensare a una figura distante da quella delineata all’art. 87 della nostra Costituzione, secondo cui il presidente della Repubblica «rappresenta l’unità nazionale».
Per il capo dello Stato rappresentare l’unità nazionale significa non prendere mai posizione nella dialettica maggioranza-opposizione. Invece, ha bollato come «ridicola» l’esistenza di un piano di destabilizzazione, attaccando Bignami ma senza profferire parola alcuna su quel suo stretto collaboratore che quel ridicolo piano lo ha quanto meno auspicato, parlando di «provvidenziale scossone».