Silvia, rimembri ancora quel tempo in cui andavi a lezione?

Bologna, 16 ottobre 2021

(avv. Antonello Tomanelli)

Silvia è una studentessa di vent’anni, iscritta al corso di laurea in Filosofia dell’Università di Bologna. E’ caparbia, perché è senza green pass ma vuole ugualmente seguire le lezioni di psicologia cognitiva. Per la terza volta si presenta in aula per seguire la lezione, ma la docente non transige: “senza la certificazione verde tu non entri”.

Silvia non vuole vaccinarsi, né è disposta a convogliare le proprie energie su un tampone ogni 48 ore. Ma le sue lagnanze non trovano riscontri nel D.L. 6 agosto 2021 n. 111, poi convertito, che ha imposto il green pass a tutto il personale scolastico e universitario, studenti compresi. Sulla base di questa normativa, Silvia non potrà frequentare le lezioni fino al 31 dicembre, giorno in cui dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) cessare lo stato di emergenza proclamato nel gennaio 2020.

Certo, la legge è legge. Ma come ne esce questa legge da un confronto con gli imperativi della nostra Costituzione?

L’art. 34 Cost. dice che “I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. È il celeberrimo “diritto allo studio”, citato anche da numerose convenzioni di diritto internazionale. Costi quel che costi, il capace e meritevole deve poter studiare, fino all’Università. Secondo questa norma (e la giurisprudenza che la applica, nonché la logica), a uno studente non può impedirsi di frequentare un corso universitario, salvo che si manifesti incapace o immeritevole.

Se uno studente viene continuamente bocciato, il diritto costituzionale allo studio non può certo garantirgli la laurea: ça va san dire. Ma nel corso dell’ultimo secolo ogni Università si è dotata di un codice di comportamento. Tutto è partito dall’art. 16 del Regio Decreto Legge 20 giugno 1935 n. 1071, che stabilisce: “La giurisdizione disciplinare […] si esercita anche per fatti compiuti dagli studenti fuori dalla cerchia dei locali e stabilimenti universitari, quando essi siano riconosciuti lesivi della dignità e dell’onore, senza pregiudizio delle eventuali sanzioni di legge”. Per poi limitarsi a tipizzare le sanzioni, dalla più blanda (ammonizione verbale) alla più grave (esclusione temporanea dall’Università con perdita della sessione di esami).

I singoli atenei si sono col tempo incaricati di ritagliare le fattispecie di comportamento che portano alla applicazione di sanzioni disciplinari a carico degli studenti. Sono tutte più o meno uguali: dal danneggiamento di beni e locali dell’Università all’aggressione fisica a docenti, dalle falsificazioni in sede d’esame alle molestie sessuali.

Insomma, fatti di una certa gravità, che collocano colui che li commette in un contesto di pericolosità all’interno dell’Ateneo che lo vuole formare. Di fronte a simili fatti, l’ordinamento reagisce e il diritto allo studio arretra: chi pone in essere comportamenti di tal genere, pur capace, diventa immeritevole. E l’ordinamento non gli garantisce più il diritto allo studio.

Il D.L. 6 agosto 2021 n. 111, nel prevedere che lo studente privo di green pass non possa seguire le lezioni né presentarsi agli esami, rappresenta il primo caso di negazione del diritto allo studio di fronte a un comportamento che non prova alcun demerito, oltre a non ledere minimamente la dignità e l’onore dell’Università.

Silvia è pienamente capace, ma il fatto di non avere il green pass la rende immeritevole, perché considerata un pericolo grazie ad un’arbitraria e inaccettabile assimilazione del no green pass al contagiato. Invece, Silvia potrebbe essere considerata un pericolo solo dopo un tampone positivo.

Ecco il chiaro vizio di costituzionalità. Il diritto allo studio arretra di fronte ad un giudizio di pericolosità basato sul nulla, che non può rendere Silvia immeritevole.

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