Bologna, 21 febbraio 2025
(avv. Antonello Tomanelli)
D’accordo che ogni sconfitta spinge spesso il soccombente a fornire una versione edulcorata dei fatti, ma quanto accaduto a Kiev dopo la visita di Keith Kollegg rasenta la comicità.
Prima di parlare con Zelensky, l’inviato di Trump era stato ricevuto dal ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha, il quale gli avrebbe riferito «la volontà dell’Ucraina di raggiungere la pace attraverso la forza e la nostra visione per i passi necessari», e che «la sicurezza dell’Ucraina e della regione transatlantica è indivisibile», definendo «costruttivo» il confronto. Secondo il ministro, l’inviato di Trump gli avrebbe dato ragione, per poi precipitarsi da Zelensky.
Non si conoscono i dettagli dell’incontro con Zelensky, che lo ha definito «produttivo». Incontri entrambi talmente costruttivi e produttivi da indurre lo staff di Kellogg ad annullare la prevista conferenza stampa. Visto com’era andata, non c’era niente da dire.
Gli USA si rifiutano di condividere la bozza della Risoluzione ONU, prevista per lunedi in occasione del terzo anniversario dell’inizio del conflitto, che sostiene l’integrità territoriale dell’Ucraina e condanna l’invasione russa. E si oppongono alla dichiarazione congiunta in seno al prossimo G7, che definisce la Russia «paese aggressore». Mentre per il segretario al Tesoro USA Scott Bessent un drastico alleggerimento delle sanzioni alla Russia è sul tavolo.
Un cambiamento epocale. Gli USA abbandonano l’Ucraina strizzando l’occhio alla Russia. Tra quelli che contano, continuano ad appoggiare incondizionatamente Zelensky (avversando Putin e osteggiando Trump) la Francia, con Macron in caduta libera nei sondaggi e incapace di governare il proprio paese, la Polonia e la Gran Bretagna di Starmer, che con la UE non c’entra nulla. Mentre Scholtz, come tutti sanno, da lunedi non rappresenterà più nessuno.
Dunque, la UE ha perso, tanto quanto l’Ucraina, soprattutto la faccia. Pare un collegio di salme pronte per essere tumulate. Chi non vorrà seguire il suo destino, dovrà sfilarsi.
Giorgia Meloni, trumpiana di ferro, è costretta agli equilibrismi, peraltro alquanto maldestri. «Italia con USA e UE per pace duratura», arriva a dire. Ma fa sapere di non poter essere presente alla riunione in videoconferenza dei leader del G7 di lunedi prossimo, pur essendone il presidente. Motivo: l’evento coincide con la colazione che dovrà offrire allo sceicco Mohammed bin Zayed al Nahyan, presidente degli Emirati Arabi in visita in Italia. A prendersi la patata bollente ci sarà Tajani.
Si ricordasse la Meloni di quando, nel commentare l’operato della Troika di ritorno da Atene con gli abiti sporchi di sangue, definì la Commissione Europea «comitato d’affari e di usurai che mette in ginocchio i popoli»; di quando appoggiò la Brexit predicando l’uscita dell’Italia dall’Euro, una moneta «profondamente sbagliata e destinata ad implodere»; di tutte le volte in cui diceva che «la UE non si può riformare, essendo marcia fin nelle fondamenta».
Si ricordasse la Meloni quando fu contraria alle sanzioni contro la Russia che aveva appena annesso la Crimea, definendole «una sciocchezza colossale che massacra il made in Italy»; e di quando criticò la NATO per aver deciso un aumento del contingente militare nei paesi baltici, accusandola di voler riesumare «un clima da guerra fredda».
A volte è molto meglio fare pace con il proprio passato piuttosto che rinnegarlo. Siamo in uno di quei casi.
Francia e Gran Bretagna, le uniche nazioni europee a possedere armi nucleari, intendono inviare soldati in Ucraina. Un progetto folle, che se portato a termine non potrà non sfociare in una guerra distruttiva.
Già una volta l’Italia si è alleata con dei pazzi furiosi, e a carissimo prezzo. Non può commettere lo stesso errore un’altra volta.