Perché l’Ucraina non può nulla contro l’invasione russa

Bologna, 1° marzo 2022

(avv. Antonello Tomanelli)

Non c’è dubbio che Putin l’abbia fatta grossa invadendo l’Ucraina, Paese sovrano. L’ha fatto in spregio all’art. 2, par. 4, dello Statuto delle Nazioni Unite, che recita: “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”.

Né potrebbe assumere rilevanza la dichiarata intenzione di proteggere le minoranze russofone della regione del Donbass. Si tratta comunque di una violazione della sovranità ucraina, né più né meno di quella posta in essere dalla NATO nel 1999, quando, parlando di “intervento umanitario”, arrivò a bombardare Belgrado al dichiarato fine di tutelare la minoranza albanese del Kosovo dalle angherie perpetrate dallo Stato jugoslavo per mano del presidente Slobodan Milosevic.

Il diritto internazionale consentirebbe all’Ucraina (ma solo all’Ucraina) di reagire all’aggressione, in un’ottica di self defence, fino a quando il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non venga messo nelle condizioni di autorizzare l’uso della forza. “Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”, recita l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite.

Ma la decisione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, in questo caso, non arriverebbe mai, a causa del diritto di veto che l’art. 27, comma 3°, della Carta ONU garantisce a ciascuno dei cinque membri permanenti (Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia, Cina) nelle deliberazioni sull’uso della forza militare. Per ovvi motivi, il delegato russo voterebbe contro qualsiasi azione militare dell’ONU finalizzata a fermare l’invasione dell’Ucraina.

Inoltre, occorre precisare che il riferimento alla “autotutela collettiva” non autorizza qualsiasi Stato ad intervenire a difesa di un altro. Il principio generale della self defence legittima la sola reazione dello Stato aggredito, a meno che non vi sia un trattato internazionale che, in un’ottica di mutuo soccorso, imponga l’intervento di uno Stato terzo non aggredito.

È il caso del Trattato NATO, il cui art. 5 stabilisce: “Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale”.

Quindi, se l’Ucraina appartenesse alla NATO, l’organizzazione potrebbe legittimamente reagire con l’uso della forza nei confronti della Russia. Ma l’Ucraina non fa parte della NATO.

Tuttavia, molti si chiederanno il motivo per cui Kiev ha chiesto in maniera a dir poco frettolosa l’adesione all’Unione Europea. Un motivo c’è. Basti leggere l’art. 42, par. 7, del Trattato sull’Unione Europea: “Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite” Ciò significa che se un membro della UE venisse attaccato, tutte le altre nazioni europee dovrebbero, sempre in un’ottica di mutuo soccorso (e in conformità all’art. 51 della Carta ONU), reagire militarmente per difenderlo. Che in sostanza è il medesimo principio in vigore nel trattato NATO.

Ma un’adesione immediata dell’Ucraina alla UE è impensabile. Il processo di adesione alla UE è fra i più tortuosi e complessi.

In primo luogo, lo Stato richiedente deve dimostrare di esserne degno, mostrando una fedele osservanza dei principi contenuti nell’art. 2 del Trattato (“L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di Diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”).

Dire che su alcuni di questi valori l’Ucraina latita è un eufemismo. È in molti ancora vivo il ricordo della strage di Odessa del 2 maggio 2014, quando gli ultrà nazionalisti sostenitori del nuovo governo filo occidentale bruciarono vive 48 persone (fonti ucraine) che si erano rifugiate all’interno della casa dei sindacati per sfuggire alle violenze della stessa polizia ucraina che, coadiuvata da bande di indubbia ispirazione neonazista, aveva organizzato una vera e propria caccia all’oppositore. E i governi che si sono succeduti, tutti riconosciuti dai Paesi occidentali (UE compresa), non hanno mai identificato nemmeno uno dei responsabili di quell’eccidio.

All’epoca il Parlamento Europeo arrivò a votare una mozione di condanna dell’Ucraina per la responsabilità dei fatti di Odessa, addossando la responsabilità della strage a frange neonaziste e deplorando il mancato intervento delle autorità ucraine appena insediatesi.

Tutela delle minoranze, nemmeno a parlarne. Sono note le persecuzioni di Kiev ai danni dei cittadini russofoni del Donbass, che se sorpresi a parlare in russo subiscono una sanzione pecuniaria. Inoltre, basterebbe chiedere a qualsiasi associazione LGBT i pericoli cui si va incontro nell’organizzare un gay pride a Kiev, o anche solo esternare la propria omosessualità.

Poi, una volta chiesta l’adesione, per prima cosa lo Stato deve recepire all’interno del proprio ordinamento tutta la legislazione europea, nonché dimostrare di essere in grado di garantire che il diritto comunitario recepito sia attuabile in modo efficace attraverso adeguate strutture amministrative e giudiziarie.

Lo Stato richiedente deve possedere un’economia di mercato affidabile e capace di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Unione Europea. Qui va sottolineato che la più gran parte dell’economia ucraina evidenzia spaventose infiltrazioni da parte della criminalità organizzata.

Infine, l’adesione deve essere votata all’unanimità dal Consiglio della UE e dal Parlamento Europeo a maggioranza assoluta, e ratificata da ciascuno dei Paesi UE (che sono 27).

È un processo che richiede decenni. Basti pensare che attualmente gli Stati su cui pende il processo di adesione all’Unione Europea sono Albania (candidata dal 2012), Serbia (candidata dal 2010), Montenegro (candidata dal 2009), Macedonia del Nord (candidata dal 2004), Turchia (candidata dal 1999).

Non a caso da più parti la stessa UE si è mostrata fredda nel ricevere la richiesta del governo ucraino di ingresso immediato. A parte il rischio di essere obbligata a scendere in campo militarmente contro una superpotenza ai sensi dell’art. 42, par. 7, del Trattato, è lo stesso principio dello Stato di Diritto ad imporre alla UE di non poter assecondare una richiesta di adesione immediata dell’Ucraina, che implicherebbe una raffica di violazioni normative mai vista prima.

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