Ma stiamo scherzando?

Bologna, 1° marzo 2024

(avv. Antonello Tomanelli)

«Anche se Paola Egonu è italiana di cittadinanza, è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità che si può invece scorgere in tutti gli affreschi, i quadri e le statue che dagli etruschi sono giunti ai nostri giorni».

Questo è un passo di «Un mondo al contrario», il libro del generale Vannacci andato letteralmente a ruba, e che ha anche mandato su tutte le furie la nota pallavolista Paola Egonu, italiana figlia di genitori nigeriani, tanto da indurla a denunciare l’alto ufficiale per diffamazione e istigazione all’odio razziale.

Per quanto riguarda la diffamazione, dove sarebbe la lesione della reputazione nel dire che i tratti somatici di Egonu non rappresentano l’italianità, è difficile da comprendere. Solo in una società che considera l’italianità una sorta di valore supremo da preservare in tutti i sensi e costi quel che costi, le parole di Vannacci potrebbero rivelarsi diffamatorie, perché soltanto in un simile contesto culturale e giuridico la presunta distanza, sottolineata da Vannacci, della Egonu da quella sorta di valore supremo potrebbe essere motivo di riprovazione sociale.

Ma questo è impossibile, visto che nella nostra Costituzione il principio di uguaglianza si riferisce anche a qualsiasi lingua, razza e religione. Vede ogni forma di discriminazione come il fumo negli occhi e riconosce il diritto d’asilo allo straniero.

E nemmeno escludere di poter equiparare la Egonu alle opere d’arte «che dagli etruschi sono giunti ai nostri giorni» configura una lesione della sua reputazione. Il generale ha soltanto scritto un’ovvietà, peraltro basata sulla differenziazione, non sulla discriminazione che poi istiga all’odio razziale, l’altra pesante accusa.

L’istigazione all’odio razziale è prevista dalla legge Mancino del 1993, che punisce «chi incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi».

La norma reprime ogni comportamento che colloca la vittima su un piano di inferiorità, negandole diritti che spettano a tutti in ragione soltanto della sua appartenenza etnica, razziale, nazionale o religiosa. Che è l’essenza della discriminazione. Non si discrimina uno dicendogli che è diverso dagli altri ma riconoscendogli pari diritti. Mentre si discrimina una donna rifiutandosi in un pubblico esercizio di venderle l’acqua perché russa.

La Egonu sarebbe stata discriminata, e Vannacci avrebbe così istigato odio, se in quel libro il generale avesse scritto, ad esempio, che lei, non avendo i caratteri somatici nostrani, non avrebbe mai dovuto ottenere la cittadinanza italiana, negandole così un diritto che spetta a tutti gli stranieri al verificarsi di determinate condizioni e a prescindere dai loro tratti somatici.

Dire che i tratti somatici di una persona di colore non rappresentano l’italianità significa semplicemente differenziarla, non discriminarla. A meno che non si voglia considerare questa volta il cosiddetto melting pot come una sorta di valore supremo e incontestabile. In questo modo il semplice differenziare un individuo sulla base della propria etnia e dei tratti somatici porterebbe ad una sorta di negazionismo, che diventerebbe un reato. Ipotesi impensabile, almeno per ora.

Quella denuncia non porterà a nulla. Considerare quanto scritto da Vannacci discriminatorio ai sensi della legge Mancino significherebbe equipararlo a frasi come quella da me udita in una circostanza per strada: «Paola Egonu dovrebbe andare a pulire i cessi soltanto per la faccia che ha». Ecco un esempio di diffamazione e di discriminazione, che considera la Egonu non abile a qualsiasi lavoro diverso dalle pulizie proprio a causa dei suoi tratti somatici. E le due ipotesi sarebbero simili? Ma stiamo scherzando?

Un altro curioso mistero. Siamo più o meno tutti cresciuti e diventati grandi vedendo spesso gli eserciti come un qualcosa che mal si concilia con il concetto di libertà, ombre che incombono minacciando i più sacrosanti diritti; e che quando decidono di intervenire sono guai per tutti. Oggi abbiamo un generale dell’esercito che rivendica pubblicamente una libertà costituzionale. Qualcosa non torna.

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