L’Italia non è una Repubblica democratica fondata sul vaccino

Bologna, 24 settembre 2021

(avv. Antonello Tomanelli)

L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul vaccino”. Dovrebbe recitare così l’art. 1 della nostra Costituzione, se si volesse considerare legittima la normativa contenuta nel D.L. 21 settembre 2021 n. 127, che ha esteso, come ampiamente preannunciato, a tutto il settore pubblico e privato l’obbligo del green pass a partire dal 15 ottobre, sotto la minaccia della sospensione dal rapporto di lavoro e, soprattutto, dalla retribuzione.

Invece, come tutti sanno, l’art. 1 Cost. recita che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. L’enfasi con cui il Costituente ha introdotto la legge fondamentale della nostra Repubblica, la dice lunga sul significato che ha voluto attribuire al lavoro: non mero strumento di sopravvivenza, ma imprescindibile valore che permea l’intero sistema economico, politico e sociale.

Sappiamo come il legislatore abbia voluto gradualmente imporre l’obbligo di vaccinazione per contrastare il Covid-19. Introducendo il green pass prima per medici e sanitari. Poi per il personale scolastico. Poi per i fornitori di servizi alla scuola. Ora l’obbligo di vaccinazione passa dal settoriale al generale, operando nei confronti di chiunque svolga un’attività lavorativa dipendente, pubblica o privata, nella grande come nella piccola impresa. Inutile sottolineare come l’istituzione del green pass altro non sia che un modo surrettizio di introdurre l’obbligo di vaccinazione.

E così, accade che l’obbligo di vaccinazione prevale sul lavoro, sul quale, per volontà dell’art. 1 Cost., la nostra Repubblica democratica si fonda. Quel lavoro che contorna il forse più pregnante dei diritti costituzionali, dopo il diritto di voto. L’art. 4, comma 1°, Cost., nello stabilire che “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”, si inserisce nella rubrica intitolata “principi fondamentali”. Principi che la Corte Costituzionale, nella storica sentenza n. 1146 del 1988, ha qualificato come “principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale”, poiché “appartengono alla essenza dei valori supremi su cui si fonda la Costituzione italiana”.

Tra l’altro, si noti come l’art. 4 Cost., dopo aver sancito al primo comma il diritto al lavoro, affermi al secondo comma che “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società”. Dunque, per la nostra Costituzione il lavoro è non soltanto un diritto, ma anche un dovere. Il che non significa che sarebbe costituzionale una legge che introducesse i lavori forzati. Ma certamente significa che una legge che impedisse di lavorare costituirebbe un ostacolo “al progresso materiale e spirituale della società”.

Il quadro che ne esce è inquietante. Impedendo con un atto avente forza di legge ordinaria di lavorare a chi rifiuta di vaccinarsi, si è violato un diritto che, secondo la nostra Alta Corte, non si potrebbe toccare nemmeno con una legge costituzionale. L’incipit con cui si è voluto incominciare questa riflessione (“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul vaccino”), lungi dal voler essere una provocazione, rappresenta l’unica formulazione che l’art. 1 Cost. potrebbe avere se si volesse considerare legittima una normativa che subordina l’esercizio del diritto al lavoro alla inoculazione del vaccino anti-Covid.

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