La scelta di morire a ventun’anni

Bologna, 25 luglio 2025

(avv. Antonello Tomanelli)

Questo ragazzo si chiamava Artiom Naliato. Era nato in Ucraina 21 anni fa, ma già da bambino fu adottato da una coppia di coniugi padovani, acquisendo così la cittadinanza italiana.

Artiom era partito un mese fa per l’Ucraina come combattente volontario. E’ morto lo scorso lunedi mentre dormiva nella caserma dove lo stavano addestrando, sventrata da un missile russo. Ha pagato con la vita il suo amore per la patria d’origine.

«La famiglia lo aveva accolto e cresciuto con amore», ha scritto Massimo Cavazzana, il sindaco di Tribano, comune dove il ragazzo risiedeva insieme alla famiglia.

Nessuno lo dubita. Ma allora, come può un ragazzo di 21 anni, così apparentemente stabile e circondato dagli affetti, prendere una decisione tanto radicale, accompagnata dalla piena consapevolezza che una tale decisione possa allontanarlo per sempre da quegli affetti? Come è possibile che un ragazzo così giovane, a quanto pare ben lontano da quelle condizioni di marginalità sociale, che spesso portano chi non ha nulla da perdere a prendere decisioni a dir poco avventate, abbia scelto di avventurarsi in un inferno dove uccidere anche 1000 soldati in un sol colpo è dalle leggi di guerra considerato pienamente legittimo?

L’amore per la patria d’origine, necessariamente residuale se si considera la tenera età alla quale questo ragazzo è stato accolto in Italia, non può di per sé giustificare una scelta personale così radicale e autolesionistica. Ci deve essere dell’altro.

Se io venissi a conoscenza che un mio amico di infanzia, con il quale però da molto tempo non ho più alcun tipo di rapporto, è rinchiuso in un appartamento insieme ad un energumeno che probabilmente lo torturerà, farei di tutto per salvarlo. Ma se so che in passato quel mio amico di infanzia, magari spalleggiato da qualche bulletto, ne ha combinate tante a quell’energumeno, tanto da suscitare una reazione così violenta, diciamo che ci penserei due volte prima di mettere a repentaglio la mia incolumità.

Quando si cade nella trappola della dicotomia aggressore-aggredito, la decisione di sfidare la morte pur di assecondare l’amore per la patria aggredita, finisce per essere adottata con una consapevolezza tutt’altro che piena. Molto spesso nelle guerre non esiste una parte pienamente colpevole, né una parte autenticamente innocente.

E se questo ragazzo avesse avuto piena contezza della propria sciagurata scelta, magari attraverso una narrazione ufficiale che ponesse anche l’Ucraina, pur aggredita, e non solo l’Ucraina, di fronte alle proprie responsabilità, forse la razionalità avrebbe prevalso sulle ragioni del cuore, e oggi Artiom sarebbe ancora a godersi l’affetto dei suoi cari. Le responsabilità della sua precoce morte non sono tutte in quel missile russo.

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