La rivolta del Corvetto

Bologna, 29 novembre 2024

(avv. Antonello Tomanelli)

Milano non sarà Parigi, ma quanto accaduto nei giorni scorsi è sufficiente per chiedersi se si tratta di un rigurgito estemporaneo o della punta di un iceberg che emerge da acque sempre meno torbide. Il giovane egiziano Rady Elgalm è morto schiantandosi contro un palo a bordo di uno scooter Yamaha T-Max, mentre insieme ad un amico cercava disperatamente di seminare una gazzella dei Carabinieri che aveva intimato l’alt. Addosso mille euro in contanti, un coltello, una catenina d’oro recisa, qualche precedente penale. Forse gli agenti avevano intuito qualcosa. 

Le forze dell’ordine li hanno speronati, grida qualcuno. Il passaparola fa il resto. Centinaia di immigrati danno vita ad una radunata che non ha precedenti in Italia, mettendo a ferro e fuoco per due giorni il Corvetto, zona divenuta in pochi anni tra le più malfamate di Milano.

La polizia interviene in forze e usa gli scudi per parare di tutto, compresi i fuochi d’artificio. Alla fine si conterà un solo arresto. Segno inequivocabile che le consegne erano di non andarci pesante.

I più comprensivi parlano di disagio sociale e di mancata integrazione, senza chiedersi che ci faceva un disagiato su uno scooter da 13 mila Euro e postulando che il delinquere è l’effetto, non la causa, della mancata integrazione.

Ma l’uso della ragione stenta a farsi strada. Da più parti si invoca una regolarizzazione di massa, con l’intenzione di consentire a centinaia di migliaia di emarginati l’ingresso nel mondo del lavoro, favorendone così l’integrazione. Ma non siamo nei favolosi anni ’60 e non c’è nessun boom economico all’orizzonte. Né le paghe per lavori di basso profilo, grazie all’estenuante lavoro dei sindacati, sembrano essere lontane da quelle del terzo mondo.

E di fronte a statistiche che vedono gli immigrati commettere il 44% delle violenze sessuali, a fronte di una presenza che non supera l’8% della popolazione, l’ineffabile Laura Boldrini ne mette in dubbio l’attendibilità, sostenendo che non tutte le donne italiane scelgono di denunciare i propri stupratori autoctoni. Perché, le donne straniere denunciano sempre i propri connazionali?

E mentre il sindaco di Milano, Beppe Sala, chiosa che Milano rimarrà accogliente, i giudici italiani, idealizzando una società senza confini, garantiscono l’accoglienza praticamente a chiunque. Ma senza particolari sforzi intellettivi, va detto, perché a leggere l’art. 38 della Direttiva 2013/32/UE sul concetto di paese sicuro, ci si rende conto che è così ostico e dettagliato da rendere arduo il ricondurre qualsiasi paese sudamericano, africano, arabo, orientale, persino occidentale, al concetto di paese sicuro.

Ma non si può non rilevare una evidente contraddizione nel comportamento dei nostri giudici, quando rinviano gli atti alla Corte di Giustizia Europea, chiedendo lumi sulla definizione di paese sicuro, ben conoscendone sia la posizione, sia la diretta efficacia delle sue interpretazioni. Gelosissimi della propria indipendenza dal potere esecutivo italiano, rimettono il verdetto ad un organo giudiziario europeo che di indipendente non ha nulla, essendo i suoi giudici nominati dagli esecutivi dei rispettivi Stati membri.

In un contesto del genere, la sovrasaturazione di immigrati in una realtà economica e sociale non solidissima come quella italiana, non potrà che portare ad ulteriori esplosioni. Prepariamoci, dunque, a dieci, cento, mille Corvetto.

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