La fiction siriana

Bologna, 12 dicembre 2024

(avv. Antonello Tomanelli)

Facciamo il punto. Abbiamo 20 mila tagliagole, residui di Al Qaeda e Isis, che formano l’HTS, acronimo di Hayat Tahrir al-Shamin, («Organizzazione per la Liberazione del Levante»), guidati da Abu Mohammed al-Jolani, un 40enne che si è fatto le ossa in Iraq organizzando imboscate contro soldati americani. In poche ore conquistano Aleppo, città di oltre due milioni di abitanti nei cui dintorni si trova l’intero complesso militare industriale siriano.

Questi combattenti salafiti non vanno tanto per il sottile. Ovunque arrivano, razziano di tutto. Incominciano a circolare video che li immortalano mentre compiono spietate esecuzioni sommarie a danno di soldati siriani accovacciati e con le mani alzate. I 100 mila soldati dell’esercito di Damasco si dileguano.

In pochi giorni l’HTS rovescia il decennale regime di Bashar al-Assad, dopo che l’aviazione USA ha bombardato qualche migliaio di miliziani sciiti provenienti dall’Iraq. Putin manda un paio di aerei a scaricare mortaretti sull’HTS per difendere l’amico Assad, che guarda caso al deflagare della rivolta si trova proprio a Mosca, con moglie e figli al seguito. Secondo alcuni media, alla notizia della caduta di Aleppo, con i soldati siriani che se la danno a gambe levate liberandosi delle uniformi, si sarebbe eroicamente precipitato a palazzo. Per fare cosa, non si sa, salvo poi tornare in 48 ore, ovviamente in buona salute, nel dorato rifugio moscovita assegnatogli da Putin.

Calmatasi la situazione, al-Jolani, il leader dei ribelli tagliagole, prima di presentarsi alle telecamere si toglie il turbante lasciandosi la barba lunga, solo per non assomigliare troppo a Zelensky. Parla di nuovo corso della Siria. Dimentica la Jihad («a quarant’anni non si può essere come a venti») promettendo addirittura libertà di religione, rassicurando così la minoranza cristiana. Ma stranamente rassicura anche Putin, garantendo che le sue basi che si affacciano sul Mediterraneo, quelle di Tartus e di Lakatia, non saranno prese di mira nemmeno con una singola fionda.

Mentre gli spietati ribelli tagliagole jihadisti incominciano a parlare del nuovo governo, non solo lasciando vivi gli odiati ministri di Assad, ma addirittura conferendo loro un ruolo nella transizione ad un «governo costituzionale», dalle alture del Golan Israele passa il confine con la Siria, acquartierandosi ad una manciata di kilometri da Damasco, con la scusa di creare una zona cuscinetto «data la natura di chi ha ormai preso il potere», si giustifica Netanyahu. Addio, Hezbollah. Non pago, in due giorni esegue 480 bombardamenti su obiettivi militari siriani. I tagliagole, anche qui stranamente, tacciono. Mentre a Teheran gli Ayatollah incominciano ad accusare attacchi di dissenteria.

Non ci vuole molto per capire che questi dell’HTS formano in realtà uno dei più grossi eserciti mercenari mai esistiti. Né è difficile comprendere chi li paga.

Intanto, contro ogni logica, Zelensky lancia qualche missile pure su Rostov. Putin, che da un bel po’ rosicchia qualche km di Ucraina al giorno, ringrazia per il favore ricevuto, e si prepara a «rispondere adeguatamente».

Quella che molti considerano una sconfitta di Putin, è in realtà il prezzo di uno scambio concordato. Putin ha lasciato la Siria e Assad al loro destino, assicurando però a lui e ai suoi cari un asilo dorato, senza così tradirlo. Ha mollato l’Iran, che gli serviva esclusivamente per contrastare la penetrazione della NATO nella regione caucasica, eventualità che Trump, in procinto di insediarsi alla Casa Bianca, esclude a priori. In cambio, Putin conserverà le due basi in Siria che si affacciano sul Mediterraneo, cosa che più gli preme, e arriverà ai negoziati sull’Ucraina passandosela meglio di quanto se la sia mai passata.

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