Bologna, 14 novembre 2024
(avv. Antonello Tomanelli)
Il travaso di bile dei liberal progressisti italiani, che dopo l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca hanno per giorni accusato gli elettori americani di aver condannato gli USA a quattro anni di fascismo, ora si sposta su Elon Musk, con un piede e mezzo nell’amministrazione Trump.
«These judges need to go». Queste le parole lanciate dal visionario imprenditore sudafricano, naturalizzato statunitense, sul social di sua proprietà per avversare quei giudici italiani che nel considerare non sicuri ormai tutti i paesi del mondo, stanno garantendo la permanenza in Italia a qualsiasi migrante. Parole che hanno scatenato un putiferio.
Per la verità, anche tra chi ha accolto con favore l’elezione di Trump, qualcuno ha manifestato timidamente un certo fastidio per la picconata di Musk, soprattutto dopo la scontata presa di posizione di Mattarella, che implicitamente ha quasi posto la necessità di una scelta tra chi vuole il dialogo con la Russia di Putin e il bellicismo dei vertici UE. Non a caso chi si è scagliato con veemenza contro il padrone di X è proprio chi sostiene una difesa armata ad oltranza dell’Ucraina.
Essendo, per ovvi motivi, impresa titanica zittire uno come Elon Musk, si ricorre ad un paradosso bello e buono. Lo si addita come un pericolo per la democrazia, negandogli nel contempo la libertà di espressione, che è il caposaldo di ogni democrazia. Ma siccome in un paese democratico, per non violare dichiaratamente la Costituzione, chi censura deve mentire, ecco che si riesuma un argomento che fa sempre comodo quando dall’estero arrivano attacchi sgraditi, e che qui rappresenta il classico cavolo a merenda: il principio di non ingerenza.
Il principio di non ingerenza è un antico principio di diritto internazionale, corollario del principio di sovranità. Ogni Stato deve astenersi dal tenere comportamenti che ostacolino l’esercizio della sovranità di un altro Stato. Ma ritenere che la semplice manifestazione di un pensiero possa ostacolare l’esercizio della sovranità, non fa di chi lo sostiene persona seria.
Quando, attraverso il proprio console a Boston, l’Italia lanciò una vibrante protesta contro lo Stato del Massachusetts per lo scandaloso processo a Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, condotto da un giudice palesemente prevenuto contro gli italiani, lo Stato del Massachussets rispose di non poter fare nulla nei riguardi del potere giudiziario. Ma non si sognò neppure di accusare l’Italia di violare, con quella protesta, il principio di non ingerenza nei propri affari interni.
Quando, il 19 giugno 1924, il partito laburista inglese adottò all’unanimità una risoluzione che esprimeva riprovazione per l’assassinio di Giacomo Matteotti ritenendone moralmente responsabile il governo fascista italiano, a Mussolini non passò neanche nell’anticamera del cervello di accusare gli inglesi di ingerenza nei riguardi dello Stato italiano, nonostante la risoluzione fosse sottoscritta anche dal premier Stanley Baldwin e da alcuni ministri del governo.
Insomma, il divieto di ingerenza riguarda fattispecie gravi, ma soprattutto concrete. Un esempio di violazione di tale divieto è quella accertata dalla Corte Internazionale di Giustizia nel 1986, quando condannò gli USA per le attività paramilitari in Nicaragua, consistenti nella assistenza logistica e nella fornitura di armi ai Contras, che sotto la presidenza Reagan combattevano il governo sandinista. Sono un’ingerenza i fatti, non le parole.
Accusare Elon Musk di ingerenza negli affari dello Stato italiano, è un’autentica dabbenaggine. Qualsiasi frase, pronunciata da chicchessia, rimane sempre una manifestazione del pensiero, che va considerata libera anche quando tocca un potere dello Stato, beninteso a condizione che non sconfini nella diffamazione. Elon Musk può pensare e dire ciò che vuole sulla magistratura del nostro paese, come i nostri politici e i nostri imprenditori possono pensare e dire ciò che vogliono sugli USA e le sue più importanti istituzioni.
Chi non la pensa così non può definirsi democratico.