Bologna, 22 gennaio 2025
(avv. Antonello Tomanelli)
«Il declino dell’America è finito oggi», ha sentenziato il tycoon dopo aver giurato nelle mani del presidente della Corte Suprema, mentre il fuoco californiano continuava a bruciare 200 km quadrati di colline e 13 mila case, fagocitando le ultime speranze di chi ha creduto nel green deal e nella nefasta ideologia woke. Ormai negli USA sono in pochi a non aver ancora capito che eliminare i generatori a nafta per le autobotti perché inquinano, utilizzare l’acqua piovana raccolta nei bacini idrici per salvare alcune specie di pesci, selezionare pompieri LGBT+ anziché quelli idonei, è stata una follia che sta già presentando il suo salatissimo conto.
Alla fine si riespanderà il diritto di parola di quegli scienziati, tacciati di negazionismo, se non peggio, che hanno sempre sostenuto che i cambiamenti climatici, primo tra tutti il riscaldamento globale, sono ciclici da almeno 12 mila anni.
Mentre Zuckerberg, pentendosi e dolendosi dei propri peccati, annuncia di aver abbandonato il famigerato fact checking, eufemistico neologismo che indica la censura delle idee scomode, imperante sotto l’amministrazione Biden. E come i topi abbandonano la nave che affonda, eccolo presenziare all’incoronazione di Trump. Sembra essere passato un secolo da quando decise di buttarlo fuori da Facebook per aver osato difendere i riottosi di Capitol Hill.
Solo due sessi, ha giurato il nuovo presidente USA. La follia gender, quella che considera il maschio e la femmina soltanto come estremi ormai obsoleti di un variopinto spettro destinato a non esaurirsi mai, è al capolinea. Cesseranno le espulsioni di studenti e insegnanti che osano titubare di fronte alla negazione della biologia, o che si rifiutano di pentirsi pubblicamente delle nefande gesta dei propri avi colonialisti maschi bianchi, o di seppellire la meritocrazia favorendo nelle valutazioni finali gli appartenenti alle etnie storicamente oppresse.
Una tendenza inaugurata dalla presidenza Obama, che ha finito per contaminare mezza Europa. In Belgio, Irlanda, Malta, Svezia, Portogallo, Spagna e Germania è oggi possibile la cosiddetta self-ID, l’autocertificazione di genere, a prescindere da interventi medici, con la conseguenza di poter legittimamente sconfinare negli spazi delle donne, dallo sport alle carceri, fino ai finanziamenti a fondo perduto per l’imprenditoria femminile. E alcune grandi aziende farebbero ancora carte false per ottenere la certificazione gender frendly, più che altro per allontanare lo spettro dello sputtanamento, sempre in agguato. Per non parlare della massima comprensione riservata agli immigrati rispetto a quella per qualsiasi bianco.
Ma si sa, quando gli USA prendono la febbre, all’Europa viene il raffreddore. E quando gli USA guariscono, in Europa comincia la convalescenza. Il nuovo corso inaugurato da Trump va dunque visto con un certo ottimismo.
Sui fronti di guerra, sembra che Trump sia intenzionato a mettere in pratica ciò che va dicendo da almeno due anni: il conflitto russo-ucraino deve cessare. Ma non sarà cosa facile. Putin è un osso duro e non sembra intenzionato a regalare nulla, soprattutto dopo aver lasciato sul campo almeno il triplo dei soldati americani morti in Vietnam.
Una cosa è certa: Trump non manderà più né una fionda né un dollaro a Zelensky. E l’Italia della Meloni, come da tradizione, seguirà a ruota le scelte del presidente USA. Che ci pensassero Francia e Gran Bretagna, se proprio ci tengono, a mandare le loro unità d’élite (una mobilitazione generale è impensabile) a scontrarsi con 300 mila soldati russi.
Ancor meno facile sarà mitigare il conflitto in Medio Oriente, con l’amministrazione più filo-israeliana mai insediatasi nella Casa Bianca. Né può tranquillizzare il recente cessate il fuoco, con Netanyahu che non aspetta altro che un passo falso di Hamas. Cosa pressoché certa, visto che i nuovi capi, più che parlare di soluzione a due Stati, continuano a giurare vendetta e a reclamare sangue ebreo, mentre in Cisgiordania la temperatura sale. Con l’azzoppato Iran incapace di difendere i laboratori che arricchiscono l’uranio, ora nel mirino non solo di Netanyahu, ma anche dello stesso Trump.