Bologna, 6 aprile 2022
(avv. Antonello Tomanelli)
Gleiwitz, 31 agosto 1939. Un gruppo di soldati della Wehrmacht, travestiti da soldati polacchi, assalta una stazione radio tedesca al confine con la Polonia. Dopo aver massacrato in diretta tutto il personale della radio, leggono in lingua polacca messaggi che incitano le minoranze presenti in Germania ad armarsi contro il popolo tedesco. Il giorno dopo, alle ore 4.45 Hitler ordina l’invasione della Polonia, dando inizio alla seconda guerra mondiale.
È la prima e più nota operazione false flag della storia moderna. Ideata nel XVI secolo dai pirati che issavano bandiere amiche per attirare le navi mercantili e abbordarle, l’operazione false flag è andata nel tempo assumendo contorni sempre più sofisticati, arrivando a concepire spietati e sanguinosi attacchi contro i propri connazionali per imputarne la responsabilità a qualcun altro, giustificando così agli occhi dell’opinione pubblica una ritorsione altrimenti incomprensibile. Insomma, l’operazione false flag è un coacervo di truffa, tradimento e vigliaccheria di dimensioni colossali.
Anche il conflitto russo-ucraino offre il pretesto per discutere di operazioni false flag. Nel giro di pochi giorni sono avvenuti due fatti destinati a condizionarne l’andamento. Elicotteri da combattimento ucraini avrebbero sconfinato a Belgorod, importante centro logistico situato in territorio russo a pochi chilometri dal confine, colpendo un grosso deposito per lo stoccaggio di carburante. Secondo Kiev, sarebbero stati invece i russi stessi a colpirlo attribuendo la responsabilità dell’attacco agli ucraini proprio allo scopo di alzare il livello dello scontro. Insomma, un classico false flag.
Ma nulla di paragonabile a quanto scoperto il 3 aprile a Bucha, sobborgo della periferia nord-ovest di Kiev. Pare che i russi, ritirandosi dalla capitale, abbiano lasciato centinaia di cadaveri per le strade, alcuni con le mani legate dietro la schiena, con evidenti segni di tortura.
Tuttavia, altri hanno fatto notare che la versione ufficiale non convince del tutto, come peraltro rilevato dallo stesso buon Fausto Biloslavo, punto di riferimento in territorio ucraino di tutte le reti televisive italiane, pochi minuti dopo la scoperta del massacro. Il 31 marzo, all’indomani del ritiro delle forze militari russe, un raggiante Anatoly Fedoruk, sindaco di Bucha, annunciava in un video la ritirata del nemico, senza tuttavia far cenno alcuno a quelle centinaia di cadaveri disseminati per strada, che in un paese di 30 mila abitanti dovrebbero notarsi. Cadaveri che sono apparsi dopo tre giorni, dunque successivamente all’ingresso dei soldati ucraini.
C’è chi sospetta (ma ovviamente, allo stato attuale, non può che essere soltanto un’ipotesi) che i soldati ucraini, una volta ripreso il sobborgo, abbiano voluto chiudere i conti con coloro che avevano collaborato con i militari russi all’inizio dell’invasione, sul noto presupposto che i filo-russi, pur decisamente minoritari, non vivono soltanto nella regione autonoma del Donbass.
E se per ipotesi si trattasse davvero di un false flag?
A ben vedere l’operazione false flag è strutturata esattamente come il reato di calunnia. Reato che non consiste soltanto nel denunciare qualcuno all’autorità giudiziaria sapendolo innocente, ma anche simulando “a carico di lui le tracce di un reato”, come si esprime l’art. 368 del nostro codice penale. E qui il reato le cui tracce si simulano consisterebbe in un crimine di guerra, che condurrebbe i responsabili dinanzi alla Corte Penale Internazionale, con una probabile condanna all’ergastolo almeno per i maggiori responsabili.
Ma la giurisdizione della Corte Penale Internazionale è limitata ai crimini più gravi (precisamente: genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità). Non giudica certo il reato di calunnia, per quanto grave possa essere in certi casi, tanto da assumere una dimensione internazionale. Basti pensare che il nostro codice penale prevede per la calunnia una pena base (da due a sei anni di reclusione), che però aumenta in proporzione alla pena effettivamente comminata al calunniato: se qualcuno veniva condannato alla pena di morte a seguito di calunnia, il calunniatore si beccava l’ergastolo.
Non avendo la Corte Penale Internazionale alcuna competenza per il reato di calunnia, il relativo perseguimento, nel caso di specie, sarebbe demandato all’autorità giudiziaria ucraina, che solo paradossalmente potrebbe comminare condanne agli eventuali autori del false flag. E anche se l’ordinamento russo prevede norme che legittimano la magistratura a perseguire reati commessi a danno di connazionali in territorio estero (come peraltro previsto dallo stesso codice penale italiano), necessiterebbe sempre la presenza in territorio russo degli eventuali responsabili ucraini. Ipotesi che, allo stato attuale, pare pura fantascienza.
Va comunque sottolineato che stiamo parlando di pure ipotesi, poiché le versioni ufficiali parlano concordemente di responsabilità russa nel massacro di Bucha.