Bologna, 25 ottobre 2024
(avv. Antonello Tomanelli)
Se voleva far ridere, non c’è riuscito. Se invece voleva lanciare un messaggio inquietante, la sua performance ha totalizzato il massimo punteggio. Ieri sera a PiazzaPulita lo scrittore Stefano Massini ha dato vita ad un monologo a dir poco sconcertante.
Ha voluto commentare la frase di Matteo Salvini sulla morte di Moussa Diarra, il giovane maliano ucciso nella notte di domenica da un colpo di pistola esploso dall’arma di un poliziotto della Polfer, dopo aver seminato il panico alla stazione di Verona, fino ad assalire lo stesso poliziotto brandendo un coltello. «Non ci mancherà», aveva infelicemente affermato il leader leghista.
Se si trattasse solo di questo, Massini avrebbe ragione da vendere. Nessuno, tanto meno un politico di primo piano, dovrebbe lasciarsi andare ad affermazioni similmente disumane. A nessuna morte si brinda, nemmeno con gli eufemismi.
Ma a Massini non è parso sufficiente stigmatizzare l’ormai proverbiale incontinenza del leader leghista. Ha costruito un panegirico del maliano, arrivando ad equipararlo a Caravaggio, il grande artista vissuto a cavallo del XVI e XVII secolo, che tra un capolavoro e l’altro non disdegnava risse e coltellate, arrivando persino ad uccidere.
In sostanza, secondo Massini, in ogni criminale può celarsi un Caravaggio. Non è uno scherzo. Basta rivedere il monologo sul sito di La7.
Ma tra quel milioncino di persone che ogni giovedi guarda PiazzaPulita, ci sarà qualche magistrato rimasto impressionato dal monologo di Massini, e che domani, nel dover giudicare un assalto all’arma bianca di un maliano, di un afgano o di un siriano, vedrà in lui un potenziale incompreso Caravaggio? E’ possibile.
Come è allo stesso modo possibile che il Tribunale di Roma, dovendo decidere se un immigrato, caricato su una nave militare italiana e condotto nella struttura similcarceraria albanese (edificata dal governo Meloni), abbia il diritto di essere accolto in Italia, venga condizionato, in quanto essere umano, proprio dal monologo di Massini, optando così per l’accoglienza anche di chi proviene da un paese non meno sicuro del nostro.
Rimane un equivoco di fondo, alimentato proprio dal monologo di Massini, infelice quanto la frase di Salvini. Moussa Diarra non è stato ucciso da un colpo di pistola sparato da un’auto della polizia in corsa, come fosse una Uno Bianca, o da un’esecuzione sommaria in qualche scantinato della Questura, ma da un agente della Polfer che stava per essere da lui accoltellato. Viene quindi spontaneo chiedersi da quale misteriosa forza emerge l’idea di glorificare Moussa Diarra attraverso un accostamento con Caravaggio, che chiunque in buona fede giudicherebbe un tantino forzato.