Il campione che fa paura

Bologna, 8 settembre 2025

(avv. Antonello Tomanelli)

Per comprendere il crollo accusato ieri a New York da Jannik Sinner al cospetto di Carlos Alcaraz, che lo ha spodestato dal vertice del ranking mondiale, basterebbe confrontare i dati tecnici del match con quelli dell’ultimo Wimbledon, dove nella finale di luglio l’alto-atesino aveva strapazzato il satanasso spagnolo sempre in quattro set.

A Wimbledon Sinner piazzò 8 ace, centrò il 63% di prime palle di servizio ad una velocità media di 208 km/h (176 km/h nelle seconde) e 42 colpi vincenti nel corso degli scambi. Ieri è riuscito a fare soltanto due servizi vincenti, mettendo dentro un misero 47% di prime palle a una velocità media di 192 km/h (154 km/h nelle seconde) davanti al miglior risponditore al mondo, e piazzando in tutto l’incontro 20 colpi vincenti.

Con una statistica come quella di ieri, uno come Alcaraz non riesci nemmeno a impensierirlo, figuriamoci a batterlo. Infatti, a parte il secondo set, quando Sinner sembrava parzialmente riemerso dalle acque fangose in cui era sceso, per il satanasso spagnolo è stata quasi una passeggiata, tanto da poter tranquillamente accantonare quell’atteggiamento odioso che spesso lo pervade negli incontri importanti, fatto di continui vamos urlati alla telecamera e plateali istigazioni del pubblico. Che ieri si sarà chiesto più volte per quale motivo avesse scelto di indossare per l’occasione quella aderentissima imbarazzante canottiera rosa, che avrà senz’altro fatto felice il wokissimo Spike Lee, presente sugli spalti e suo sfegatato fan.

In realtà, a chi ha seguito l’incontro sin dalle fasi preliminari non sarà sfuggito il diverso tipo di riscaldamento affrontato dai due tennisti. Mentre Sinner si divertiva a rincorrere i membri del suo staff per riprendersi una palla, Alcaraz pareva Clubber Lang che si allena per sfidare Rocky nella terza sequela della saga.

Il risultato lo hanno visto tutti. Ma c’è dell’altro.

A quanto pare, non vi erano problemi fisici che avrebbero potuto condizionare la performance dell’italiano. Probabilmente, il problema è stato psicologico.

Già solo per poter giocare a tennis a quei livelli, devi conservare un equilibrio mentale (che non è soltanto concentrazione) superiore e senza pause, spesso per oltre cinque ore. Quando poi incontri uno come Alcaraz, devi fare i conti anche con un altro fattore: il timore che incute.

Perché Alcaraz, al di là dell’estremo talento, è uno che fa paura. Pur non essendo altissimo per il tennis (1.83), è robusto, scolpito, non bello, e la rasatura del cranio ostentata a Flushing Meadows, almeno sotto questo profilo, di certo non lo ha penalizzato.

Ad incutere timore sono anche le urla, del tutto particolari, che generalmente accompagnano i suoi colpi. A cominciare dal servizio, sono melodiche e non immediatamente riconducibili ad un suono umano, e sembrano sempre preannunciare qualcosa di ineluttabile. Chi affronta Alcaraz probabilmente avverte le stesse sensazioni di chi nelle competizioni internazionali affrontava Bruce Lee.

E di fronte a un tipo del genere non bastano grande talento, massima concentrazione ed equilibrio mentale superiore. Occorre anche coraggio, tanto coraggio. Quel coraggio che ieri a Sinner è mancato.

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