Bologna, 2 aprile 2025
(avv. Antonello Tomanelli)
Come fare per eliminare un nemico politico quando non puoi ucciderlo, o non ti conviene ucciderlo? Semplice, lo azzoppi come un cavallo. La lezione dilaga, da Bucarest a Parigi. Dopo Calin Georgescu, è la volta di Marine Le Pen, odiata negli ambienti liberal progressisti.
Condannata, insieme ad alcuni parlamentari europei francesi, per aver utilizzato alcuni fondi elargiti dalla UE in attività legate al proprio partito. Una cosa che fanno praticamente tutti. Ma nella Francia di Macron, se di cognome fai Le Pen e le modalità si rivelano alquanto maldestre, allora non hai scampo.
Non è la condanna in sé a dover indignare, ma è l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea da ogni funzione pubblica, dichiarando la sentenza di primo grado immediatamente esecutiva (ossia senza attendere quella definitiva) a dover sconcertare. Una possibilità che in effetti la legge francese lascia alla piena discrezionalità dell’organo giudicante, ma che finora non era mai stata utilizzata, se non una quindicina di anni fa ai danni di Gaston Flosse, un senatore che si era appropriato di fondi pubblici per soddisfare sfizi personali, e soltanto dopo la sentenza di appello, che aveva confermato la condanna inflitta in primo grado.
Se la sentenza di primo grado non fosse stata dichiarata esecutiva, come di solido accade in Francia, Marine Le Pen, considerando i tempi biblici della giustizia francese paragonabili a quelli italiani, avrebbe potuto correre nel 2027 per l’Eliseo, con i sondaggi che la danno in continua ascesa, ora intorno al 40%. E una volta eletta, nessuna condanna definitiva sopravvenuta avrebbe potuto scalzarla, dato che in Francia il presidente della Repubblica può essere destituito soltanto se muore, diventa malato terminale o impazzisce.
Dunque, qualche fondato dubbio sorge sul perché il tribunal correctionnel di Parigi abbia voluto azzopparla, infliggendole l’interdizione da ogni funzione pubblica per cinque anni, che peraltro rappresenta, ma guarda un po’, la misura massima consentita dalla legge. Neanche a Sarkozy avevano riservato un simile trattamento, pur avendola combinata molto più grossa.
Il presidente del tribunale parigino che ha condannato Marine Le Pen è una donna e si chiama Bénédicte de Perthuis. E’ entrata in magistratura a 37 anni dopo una folgorante carriera nella Ernst & Young, una multinazionale britannica che conta mezzo milione di dipendenti, leader mondiale nel settore delle consulenze direzionali, della formazione e, soprattutto, della revisione contabile. La classica struttura alla quale ci si rivolge quando bisogna far quadrare i conti. Ernst & Young è presente in oltre 150 Stati con circa 800 uffici, e il suo fatturato annuo sfiora i 50 miliardi di Euro. Non è un’azienda, è un mostro.
Un mostro coinvolto in innumerevoli scandali finanziari, compreso quello della Lehman Brothers, e sanzionato dalle authority di mezzo mondo per un ammontare complessivo di circa un miliardo di Euro.
Ma è anche un mostro con una visione politica abbastanza chiara. Oltre alle svariate attività di consulenza, Ernst & Young è solita eleggere l’imprenditore dell’anno. Più del 60% delle aziende del circuito Nasdaq si sono viste attribuire tale riconoscimento, dopo aver ottemperato all’ordine di arruolare una percentuale di rappresentanti delle cosiddette minoranze etniche e sessuali. Non a caso, tra gli imprenditori italiani decorati da Ernst & Young figurano personaggi come Oscar Farinetti, Alessandro Benetton, Brunello Cucinelli, Andrea Illy, Nerio Alessandri, Mario Moretti Polegato: tutti imprenditori inclusivi, abbastanza woke e che considerano la transizione ecologica una sfida epocale.
Bénédict de Perthuis viene da questo mondo. Nella Ernst & Young era un’apprezzatissima capo contabile. Un mondo, dunque, non soltanto losco, ma che vedeva e vede tuttora personaggi alla Marine Le Pen come il fumo negli occhi. Tra i 7000 magistrati in servizio in Francia, è il peggiore che le potesse capitare.
In effetti, non si può certo dire che sia stata trattata coi guanti bianchi durante il processo. Continui battibecchi tra le due. Una miriade di interruzioni quando la Le Pen veniva interrogata. «Qui non siamo in Parlamento, questo è un tribunale. Ma ho l’impressione che lei viva in un mondo parallelo», si è sentita dire dalla de Perthuis la leader di Rassemblement National, una volta che si era dilungata un po’ troppo nella risposta.
Ma la dichiarazione più inquietante Bénédict de Perthuis l’ha rilasciata a pochi giorni dalla sentenza. «Il tribunale non ha trascurato le conseguenze di una condanna aggiuntiva provvisoriamente esecutiva. Marine Le Pen è stata candidata alle ultime due elezioni presidenziali. E ha annunciato che si ricandiderà alle prossime. La questione si pone quindi in modo singolare in questo processo penale, che prende la sua decisione in nome del popolo francese. Il tribunale non deve ignorare la necessità di cercare un consenso sociale».
In un paese civile, dove i giudici sono soggetti soltanto alla legge e lo stato di diritto è considerato un caposaldo, un personaggio del genere sarebbe stato cacciato dalla magistratura in poche ore. Ma ormai la UE, per chi ci vive, è diventata qualcosa di realmente imbarazzante.