Ergastolo

Bologna, 4 dicembre 2024

(avv. Antonello Tomanelli)

La Corte d’Assise di Venezia ha escluso l’aggravante della crudeltà, nonostante le 75 coltellate inferte a Giulia su tutto il corpo dall’innominabile, l’ultima delle quali le ha trafitto il cervello penetrando da un occhio, e nonostante l’avesse caricata in macchina, legata e imbavagliata, dopo le prime 12. La Corte ha anche escluso l’aggravante dello stalking, sebbene l’avesse umiliata, insultata e minacciata per un anno perché fosse costantemente rintracciabile anche quelle rare volte in cui riusciva a vedersi con le amiche.

Ma è stata riconosciuta la premeditazione. E ci mancherebbe altro. Da giorni teneva appuntato sul proprio cellulare di comprare il nastro adesivo, di legarle caviglie e ginocchia, di metterle in bocca una spugna bagnata, di portarsi dietro due coltelli nel caso il primo si spezzasse (previdente, perché è proprio accaduto questo).

Si reca all’ultimo appuntamento con due zaini. In uno tiene i regali per Giulia, un libro e un peluche. Nell’altro i due coltelli. Quando Giulia rifiuta i regali dicendogli senza più tentennamenti che è finita, scatta l’aggressione. Se fosse stata negata la premeditazione qui, allora per coerenza la si dovrebbe escludere anche per gli omicidi di Giulio Cesare e di John Fitzgerald Kennedy.

Nessuna attenuante riconosciuta, nemmeno quella che sarebbe derivata dal considerarlo vittima di quella sovrastruttura ideologica chiamata patriarcato. Il richiamo a quella forma di oppressione ancestrale naturalmente esercitata sulle donne e che secondo le meno informate, noi uomini tutti ereditiamo dai nostri padri, avrebbe finito per sminuirne le responsabilità, escludendo la possibilità di applicare la pena massima: l’ergastolo.

L’ergastolo fu inventato dai Romani, che nei casi più gravi mettevano gli schiavi in campi di lavoro dai quali non potevano uscirne vivi. Oggi in Italia parlare di ergastolo è semplicemente ridicolo. Da noi il «fine pena mai» praticamente non esiste.

A parte i casi di ergastolo ostativo, che può comminarsi soltanto a mafiosi e terroristi, fatti comunque salvi i permessi premio e sempre che rifiutino di collaborare con la giustizia, qualsiasi ergastolano può uscire di prigione dopo 26 anni, se ritenuto non pericoloso, e dopo 21 se in carcere ha tenuto buona condotta. Insomma, se eviti di evadere, di fare risse con detenuti e guardie carcerarie, di appiccare incendi alla cella almeno una volta l’anno, prima o poi dalla prigione ci esci, perché sei sempre da considerare ravveduto.

Verrebbe da dire che di fronte a delitti particolarmente efferati, che per motivi e modus operandi svelino un’indole particolarmente malvagia, niente dovrebbe mai garantire un ritorno alla vita di prima. Ma è la nostra Costituzione a rendere impossibile una effettiva applicazione dell’ergastolo, a meno di una sua modifica. «Le pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato», chiosa l’art. 27. E la previsione di una integrale e incondizionata applicazione del «fine pena mai» cozzerebbe irrimediabilmente contro questa disposizione.

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