Bologna, 18 giugno 2022
(avv. Antonello Tomanelli)
L’appello alla Corte Suprema del Regno Unito contro la decisione del ministro degli Interni di concedere l’estradizione richiesta dagli USA, già avallata dalla magistratura inglese, servirà soltanto a prendere tempo e a tenere alta l’attenzione. Il destino di Julian Assange, il più controverso giornalista degli ultimi cinquant’anni, è segnato.
Lo attende qualche centinaio di anni di carcere, se non peggio. Secondo alcuni potrebbe fare la fine dei coniugi Rosenberg.
Sembrerebbe incredibile, a leggere il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America: “Il Congresso non potrà fare alcuna legge che stabilisca una religione di Stato o che proibisca il libero esercizio di una religione, o che limiti la libertà di parola o di stampa”.
Ancor più incredibile se si considera quanto negli USA la libertà di espressione (il c.d. free speech) sia garantita in maniera assoluta, soprattutto attraverso la magistratura, inclusa la Corte Suprema.
La casistica sulle applicazioni del Primo Emendamento è sorprendente in America. Nel corso di una manifestazione, puoi gridare in faccia a un poliziotto “bastardo bianco, figlio di puttana, ti ucciderò”, perché sei protetto dal Primo Emendamento. Stessa cosa se bruci la bandiera a stelle e strisce, quando non vi sia un concreto rischio di incendio, o se la indossi a mo’ di mutanda.
Puoi andare al funerale di un ragazzo gay vittima di un’aggressione omofoba, invocare la redenzione dei presenti tenendo uno striscione recante la scritta “Dio odia i froci”; e se qualcuno ti denuncia vieni assolto, perché sei protetto dal Primo Emendamento.
Nei College puoi organizzare party apertamente finalizzati a deridere i compagni di colore, pubblicizzandoli con frasi del tipo “incomincia la caccia al nero” (ma anche i neri possono farlo), perché c’è il Primo Emendamento. Se nel corso del programma di una radio universitaria si fanno pesanti battute su minoranze etniche, religiose o sessuali e l’Università la chiude sulla base di una propria regola interna, il giudice la dichiara in contrasto con il Primo Emendamento e ordina la riapertura della radio.
Quando, però, una critica mette in discussione il diritto degli USA di fare una guerra, il Primo Emendamento si eclissa. Ecco che un avvocato viene arrestato in un ristorante di New York, in piena invasione dell’Irak, perché indossa una maglietta con la scritta “Diamo una chance alla Pace” e si rifiuta di lasciare il locale. Un professore universitario durante una lezione critica la guerra in Irak definendola “ingiusta” e per questo viene licenziato: affermazione che il giudice non ha ritenuto tutelata dal Primo Emendamento.
Figuriamoci un giudice americano come tratterebbe uno come Assange, che ha svelato al mondo intero un metodo scientifico nei crimini di guerra commessi dall’esercito americano in Irak e Afghanistan. Una notizia dall’interesse pubblico eccezionale, che il Primo Emendamento dovrebbe accogliere a braccia aperte.
Il Primo Emendamento è dunque solo un’illusione in un paese in cui la libertà di stampa è nata quando era ancora una colonia dell’Impero britannico?
Sulla base del Primo Emendamento l’America è magnanima nel consentire a bianchi e neri, a integralisti bigotti e omosessuali, di scornarsi tra loro e vomitarsi addosso di tutto. Ma quando si critica l’America in una guerra, o addirittura la si mette in difficoltà, come ha fatto Assange, è come se le venisse negato il diritto di esistere. Il Primo Emendamento si ritrae e l’America diventa spietata.