Bologna, 28 giugno 2025
(avv. Antonello Tomanelli)
Stoccolma, 23 agosto 1973. Jan-Erik Olsson, 32 anni, specialista in banche, evade dal carcere di prima mattina e decide di rimettersi subito al lavoro. Entra armi in pugno nella Sveriges Kreditbanken di piazza Norrmalmstorg con in testa un piano particolare, che gli potrebbe fruttare molti più soldi di tutti quelli stipati nel caveau della banca. Prende in ostaggio quattro giovani impiegati, tra cui tre donne. Alla polizia, nel frattempo giunta, chiede un’auto per la fuga e una cifra mostruosa.
Ma chiede anche la liberazione di Clark Olofsson, primo criminale scandinavo a diventare una star, un mito negli ambienti malavitosi già a 26 anni, una sorta di Renato Vallanzasca del nord-Europa, uno che a tenerlo con sé è la più grossa ipoteca su una vita da lusso costellata di rocambolesche e succulenti rapine, di quelle che finiscono in tv e su tutti i giornali.
Jan non vuole soltanto la sua scarcerazione, lo vuole proprio lì, con lui. La polizia lo accontenta e fa arrivare subito Olofsson, che in queste situazioni ci sa fare e Jan lo sa bene. La cosa che balza subito all’occhio è la sua premura nel tenere calmi gli ostaggi. E’ gentile, spiritoso, racconta barzellette sulla polizia, dà la propria giacca a una ragazza che sente freddo, a un’altra fa gli auguri di compleanno non appena ne scopre la ricorrenza, consente alle donne di andare in bagno ogni volta che lo chiedono.
Dopo un paio di giorni di prigionia, nella mente degli ostaggi incomincia ad aleggiare il sospetto di essere stati abbandonati dalla polizia, dalle istituzioni. Più passa il tempo, più rinnegano l’autorità costituita, ormai divenuta per loro una vera e propria incognita. La paura si tramuta gradualmente in fiducia verso i due carcerieri.
Al sesto giorno la polizia fa irruzione usando i lacrimogeni. Gli ostaggi si disperdono, i sequestratori vengono neutralizzati. In breve i poliziotti raggiungono gli ostaggi per condurli all’uscita.
Ma gli ostaggi si rifiutano di lasciare l’edificio se prima non riceveranno rassicurazioni sulla sorte dei loro sequestratori, perché non vogliono che venga torto loro un capello. La polizia non crede ai propri occhi.
Alla fine, gli ostaggi abbracciano i sequestratori. Agli interrogatori, l’apporto degli ostaggi nella ricostruzione dell’evento criminoso sarà trascurabilissimo. Si recheranno spesso e per anni in carcere per sincerarsi delle condizioni sia di Olsson che di Olofsson, rilasciando dichiarazioni pubbliche sempre a loro totale favore. Una delle tre ragazze-ostaggio sposerà Olofsson.
Qualche anno più tardi Conrad Hassel, ex agente della CIA, discutendo di un caso simile conierà il termine «Sindrome di Stoccolma».