Bologna, 29 settembre 2025
(avv. Antonello Tomanelli)
«Non ha prestigio internazionale, quindi non può ricoprire la carica di direttore musicale del Teatro La Fenice». E’ questa in estrema sintesi la motivazione che ha spinto gli orchestrali a dichiarare la propria ferma opposizione alla nomina di Beatrice Venezi a direttore musicale da parte della fondazione gerente.
Si saranno quindi clamorosamente sbagliate la National Philarmonic Orchestra di Odessa, l’Orchestra del Teatro Bolshoi di Minsk, il Teatro Coliseo di Buenos Aires, la National Opera House of Georgia, l’Orchestra Philarmonica di Nizza, la Sophia Philarmonic Orchestra, e tante altre dove le competenze della Venezi sono state, nel tempo della sua ancor breve carriera, ampiamente riconosciute e acclamate.
E non è nemmeno tanto giovane come si lamentano. E’ vero che La Fenice generalmente sceglie direttori musicali almeno prossimi alla cinquantina. Ma i 35 anni della Venezi sono sempre otto di più di quelli che nel 2011 portava il venezuelano Diego Matheuz quando fu chiamato per quattro anni nel ruolo oggi offerto alla Venezi, senza essere nulla di più che un eccellente violinista dell’Orchestra Giovanile Simon Bolivar.
In realtà, sono altre le colpe che qualcuno vuole che la Venezi paghi.
Innanzitutto, suo padre è un fascista. E si sa, essere figli di un fascista è reato. Si chiama Gabriele Venezi, un immobiliarista dirigente di Forza Nuova, che una ventina di anni fa tentò addirittura di fare il sindaco di Lucca, con scarsissimi risultati. Qualche selfie di troppo con Giorgia Meloni, sua ammiratrice, ed ecco completato il deplorevole quadro.
Poi, è bianca e bella. Un binomio inaccettabile per l’ancora imperversante ideologia woke, che di certo non spinge per l’inclusività forzata di una donna bianca, per giunta fascinosa. Un’ideologia salvifica per quelle donne che hanno sempre faticato ad accettare il proprio aspetto fisico, e per gli altrettanti uomini che odiano le donne per la miriade di rifiuti incassati.
Il wokismo si rivolta contro il concetto di bellezza per abbracciare quello di una sessualità (ma anche sensualità) ineffabile. Beatrice Venezi non è Francesca Albanese. E guardandole entrambe, si capisce per quale motivo la seconda sia, in certi ambienti, di gran lunga preferita alla prima.
E poi vuole addirittura farsi chiamare direttore anziché direttrice, la Venezi. Una decisione sciagurata, dettata dalla nefasta esigenza di identificarsi nella funzione preservando al tempo stesso la grammatica italiana, ancora quotidianamente saccheggiata dalla cosiddetta cultura woke.
A quanto pare la Fondazione che gestisce il teatro, e che ha deciso all’unanimità la sua nomina, contrasterà con decisione un atteggiamento, quello posto in essere dagli orchestrali, che nulla ha a che vedere con la professionalità e il talento. Non potendo dire di volerla boicottare perché genericamente di destra, battono su una sua presunta mancanza di esperienza.
E non sono pochi quelli che suggeriscono l’idea di un’avversione di quegli orchestrali proprio per il talento della Venezi, per molti esperti indiscutibile, ma che nella mente del wokista diventa il primo corpo estraneo da espellere. Come diceva Oscar Wild, il talento non si perdona. Tanto meno se sei di destra.