Bologna, 14 settembre 2025
(avv. Antonello Tomanelli)
E’ il commento più diffuso negli USA per definire l’assassinio di Charlie Kirk, ucciso con modalità kennediane mentre teneva un dibattito nel campus della Utah Valley University. Il Primo Emendamento, a quella che è la più antica Costituzione scritta ancora in vigore, è del lontano 1787, pochi anni dopo la cacciata degli inglesi.
«Il Congresso non potrà fare alcuna legge che limiti la libertà di parola o di stampa, o il diritto del popolo di riunirsi pacificamente». Furono le basi del cosiddetto free speech, una sorta di comandamento che aleggia da sempre tra gli scranni delle corti americane, e che può arrivare a tutelare posizioni che a noi possono sembrare un tantino oltranziste.
Negli USA, in una manifestazione puoi gridare in faccia a un poliziotto «bastardo bianco, figlio di puttana, ti ucciderò», perché sei protetto dal Primo Emendamento.
Puoi andare al funerale di un ragazzo gay vittima di un’aggressione omofoba e invocare la redenzione dei presenti esponendo uno striscione con la scritta «Dio odia i froci». E se qualcuno ti denuncia vieni assolto, perché sei protetto dal Primo Emendamento.
Nei college americani puoi organizzare party finalizzati a deridere i compagni di colore, pubblicizzandoli con slogan del tipo «parte la caccia al nero» (ma anche i neri lo fanno con i bianchi), perché c’è il Primo Emendamento.
Se nel corso di un programma radiofonico universitario arrivano pesanti battute su minoranze etniche, religiose o sessuali e l’Università chiude l’emittente sulla base di una propria regola interna, il giudice ne ordina la riapertura sulla base del Primo Emendamento.
Negli USA, la risposta più diffusa alla domanda «cosa significa essere americano» è «osservare i valori dei padri fondatori della nostra Costituzione», compreso ovviamente il Primo Emendamento.
In un contesto del genere, come gli americani possano aver preso l’omicidio di Charlie Kirk, non è difficile da immaginare: un siluro contro il free speech. Attraverso il free speech, Kirk voleva rompere il monopolio dell’ideologia woke all’interno dei più prestigiosi atenei, santuari del liberal-progressismo americano.
E lo faceva con metodi squisitamente democratici, attraverso il confronto diretto con gli studenti, ponendo loro domande per poi sensibilizzarli sulla eventuale illogicità delle loro risposte. Spesso funzionava. In sostanza, nel rapportarsi ai suoi interlocutori, Charlie Kirk usava tecniche completamente diverse, se non opposte, a quelle sponsorizzate dalle anime nere del wokismo, dedite all’imposizione di quella ideologia attraverso la discriminazione e la repressione del dissenso.
E’ chiaro che negli ambienti woke, anche per questo motivo Charlie Kirk era visto come il fumo negli occhi. Una tecnica comunicativa, la sua, che soltanto un uomo di coraggiosa ignoranza e disonestà intellettuale come Roberto Saviano poteva arrivare a definire «feroce».
Non c’è dubbio che alcune delle idee professate da Kirk sono imbarazzanti, come quelle sui gay e in tema di aborto. Ma nessuno aveva il diritto di cancellare il suo free speech, tanto meno con la violenza. E’ questo che oggi pensa la stragrande maggioranza degli americani, insieme alle più rilevanti personalità dem, da Biden agli Obama, dai Clinton alla Harris.
In Italia, invece, la situazione è alquanto penosa. Nessun politico della sinistra istituzionale ha preso una posizione netta e inequivoca nei confronti dell’omicidio Kirk, tanto meno verso qualche nostro temerario intellettuale arrivato a pronunciare frasi come «se l’è cercata» e «chi semina vento raccoglie tempesta». Frasi stigmatizzate da più parti.
Ma la cosa più sbalorditiva, e al tempo stesso allarmante, è che gli stessi che ostentano freddezza per la morte di Charlie Kirk, talvolta sconfinando nell’apologia, ora accusano coloro che quella freddezza la stigmatizzano, di voler fomentare odio! (vedi quel genio di Elly Schlein).
Insomma, stanno saltando le regole della logica. E siamo circondati. Ma da idioti.