Bologna, 15 agosto 2025
(avv. Antonello Tomanelli)
Io non so se Anas-al-Sharif, il giornalista palestinese 28enne ucciso pochi giorni fa assieme a tre suoi collaboratori all’interno di una tenda raggiunta da un colpo di mortaio israeliano, fosse a capo di una cellula di Hamas, come sostiene Israele. Una cosa è certa: Anas-al-Sharif non rappresentava esattamente il modello di libertà di stampa cui ispirarsi, e che alcuni ritengono seppellito insieme a quei morti.
Anas-al-Sharif era un giornalista di Al Jazeera, la più autorevole emittente nel mondo arabo, che trasmette in 150 paesi ed è seguita da oltre mezzo miliardo di persone.
Al Jazeera deve tutto alla famiglia al-Thani, che governa il Qatar dal 1825. Fu l’emiro Hamad bin Khalifa al-Thani a fondarla nel 1996, prelevando il denaro necessario da un fondo sovrano di oltre 600 miliardi di Euro di cui la famiglia, e soltanto la famiglia, dispone liberamente.
Al Jazeera è stata fondata, è controllata e finanziata dal classico uomo solo al comando: l’emiro del Qatar, che nomina ciascun membro del governo che presiede di diritto e, dal 2024, anche tutti i parlamentari. Uno che di recente ha da solo introdotto nel codice penale qatariota l’art. 136-bis, che prevede fino a cinque anni di carcere per «chiunque diffonda, pubblichi o ripubblichi notizie non confermate». Non confermate da chi, è facile intuirlo.
Insomma, una realtà lontana anni luce da quella imposta, ad esempio, dalla nostra Carta dei Doveri del Giornalista: «La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. II giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del governo o di altri organismi dello Stato».
Meglio non va a Gaza, dove alcuni giornalisti palestinesi, che avevano documentato le proteste contro Hamas, sono stati accusati di spionaggio. A Gaza, un giornalista che documenta una verità scomoda per Hamas è considerato una spia. E’ così da quando Hamas ha preso il potere nella Striscia, ormai vent’anni fa.
Io non so se Anas-al-Sharif credeva nell’art. 136-bis del codice penale qatariota. In ogni caso, era quello il faro nei suoi reportage su Gaza. Ne deriva una figura per la quale non è possibile tracciare alcuna similitudine con un giornalista che operi in un sistema democratico, dove il dovere di verità prevale sempre su qualsiasi altro interesse. Chi dipende da un’emittente qatariota non può, per giunta a Gaza e al cospetto di Hamas, esercitare alcuna libertà di stampa.
E’ dunque improprio parlare di «attacco alla libertà di stampa», come si sono espressi in diversi. Si tratta soltanto dell’ennesima tragedia gazawa.