Angela Carini si arrende a XY

Bologna, 1°agosto 2024

(avv. Antonello Tomanelli)

E’ finita molto meglio di quanto si potesse ragionevolmente temere. La pugile italiana Angela Carini si è ritirata dal match contro Imane Khelif dopo una manciata di secondi, non prima di aver assaggiato una impressionante scarica di magli del pugile algerino, nato con i cromosomi XY ma autorizzato dal regolamento del CIO a competere tra le donne, in omaggio ad una ideologia woke spinta all’eccesso, che ha ormai oltrepassato i confini della decenza, arrivando ad intaccare persino le basi dello spirito olimpico.

Per la stragrande maggioranza dei pugili, Angela non avrebbe dovuto nemmeno misurarsi con uno che pare non sentire i colpi delle avversarie. Non di rado Khelif viene fermato dagli arbitri prima che il ring si trasformi in una macelleria. E riesce sempre a finire gli incontri con la stessa freschezza con cui è uscito dallo spogliatoio.

A quanto pare Khelif non è un transgender, ma un intersessuale. In sintesi, quando è nato recava organi sessuali femminili, ma con all’interno quelli maschili, che a partire dalla pubertà hanno incominciato a produrre testosterone in misura ovviamente stellare rispetto ai livelli tipici della donna. Risultato: caratteristiche fisiche e prestazioni maledettamente vicine a quelle di un atleta uomo. Fino al test di genere impostogli in occasione degli ultimi campionati mondiali femminili di boxe, che ha certificato che i cromosomi di Khelif sono del tipo XY. Insomma, geneticamente è un uomo.

E secondo diversi esperti, la pratica dell’abbassamento del testosterone fino ai livelli abituali delle donne serve a ben poco, perché finisce per avere un impatto trascurabilissimo sulla struttura ossea e muscolare dell’atleta, evolutasi come quella di un uomo.

Ma il CIO due anni fa ha fatto orecchie da mercante, approvando una modifica al proprio regolamento: «Gli atleti potranno scegliere di gareggiare nella categoria che meglio rappresenta il loro genere d’elezione». Caso chiuso.

Si tratta senza dubbio di una questione molto complessa, caratterizzata dalla compresenza in uno stesso individuo di fattori sia maschili che femminili. E la logica suggerirebbe di utilizzare il criterio della prevalenza, che certamente porterebbe ad escludere un atleta come Khelif dalle competizioni femminili, allo stesso modo di come lo fu la mezzofondista sudafricana Caster Semenya.

Tanto più in una disciplina come la boxe. Rischiare ogni volta che un atleta sostanzialmente uomo possa cambiare i connotati della contendente, finisce per trasformare uno spettacolo sportivo nella rappresentazione plastica di quella ben nota e triste realtà che vede spesso la donna finire in ospedale per mano di qualche energumeno. Insomma, che si dia a uno come Khelif la possibilità di salire su un ring e pestare una donna in mondovisione, è un qualcosa che dovrebbe far sprofondare l’intero CIO nella vergogna più totale.

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