Bologna, 21 aprile 2022
(avv. Antonello Tomanelli)
All’indomani dell’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Mosca, l’Italia aveva emanato il D.L. 25 febbraio 2022 n. 14, che autorizzava “la spesa di Euro 12.000.000 per la cessione, a titolo gratuito, di mezzi e materiali di equipaggiamento non letali di protezione alle autorità governative dell’Ucraina”. Armi non letali, dunque: giubbotti antiproiettile, elmetti in kevlar, metal detector, robot per lo sminamento. Per intenderci, armi finalizzate alla mera difesa.
Recentemente, però, la faccenda si è complicata. In sede di conversione del succitato decreto legge, il Parlamento, con L. 5 aprile 2022 n. 28, ha autorizzato fino al 31 dicembre 2022 “la cessione di mezzi ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina”. L’elenco degli armamenti autorizzati è secretato. Ma le fonti giornalistiche concordano nell’individuare in essi carri armati, missili, artiglieria pesante, contraerea, etc. Insomma, armi letali, finalizzate agli attacchi armati.
Lo slogan zelenskiano “più armi avremo, prima arriverà la pace”, al quale la maggioranza degli italiani non crede, ha fatto breccia nel nostro Governo.
Ma fornire armi all’Ucraina, che è uno Stato in guerra, è legittimo?
La domanda origina dalla presenza, nella nostra Costituzione, di una norma che sembra aborrire la guerra. È l’art. 11 Cost., che recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Il termine “ripudiare” svela una nostra presa di posizione nettissima e irreversibile nei confronti di ogni guerra. Tuttavia, il mero invio di armamenti è cosa diversa dall’attacco armato, anche se – questo va detto – spesso il confine tra invio massiccio di armi letali ad una parte in conflitto e partecipazione allo stesso non è poi così netto. In ogni caso, la norma va necessariamente interpretata alla luce dei principi della Carta delle Nazioni Unite, che la guerra non la ripudia affatto. Anzi.
Mi riferisco all’art. 51 della Carta ONU: “Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”.
La questione si complica ulteriormente considerando che, nel nostro caso, uno dei due Stati in conflitto è membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU con diritto di veto su ogni decisione che autorizzi l’uso della forza militare, poiché ai sensi dell’art. 27, comma 3°, Carta ONU, nelle dispute internazionali l’uso della forza va decretato all’unanimità da USA, Francia, Gran Bretagna, Cina e Russia. E nel nostro caso quella decisione, per evidenti ragioni, non arriverebbe mai.
Dunque, l’analisi dell’art. 11 Cost. dovrà necessariamente tenere in debito conto quanto statuito dalla Carta delle Nazioni Unite. Non si potranno mai mandare armi allo Stato aggressore. Sì, invece, allo Stato aggredito, che secondo la Carta ONU può reagire per legittima difesa. In effetti, l’invio di armamenti all’Ucraina non potrebbe mai essere considerato “strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, per dirla con l’art. 11 Cost., proprio perché l’Ucraina si sta difendendo da un’aggressione. Lo sarebbe se le armi venissero inviate alla Russia, che è lo Stato aggressore.
E nemmeno potrebbe affermarsi che l’invio di armi all’Ucraina vìola l’art. 11 Cost. in quanto inaccettabile “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Qui è in corso non una controversia internazionale, ma una guerra. La norma evidentemente si riferisce a scelte belliche finalizzate a risolvere una diatriba che può essere di origine territoriale, economica, religiosa, etc., ma non ancora sfociata in conflitto armato.
Un prezioso chiarimento ci viene fornito dalla L. 9 luglio 1990 n. 185, relativa alla esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento. L’art. 1 elenca i casi nei quali la fornitura di armi è assolutamente vietata. Tra questi, spicca il comma 6° lett. a): la fornitura è vietata “verso Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”.
La precisazione chiarisce quanto detto poc’anzi. Soltanto a quello Stato che si pone “in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite” la fornitura di armi è vietata. L’Ucraina, che si sta difendendo dalla aggressione russa, sta agendo in un quadro di legittima difesa. Pertanto, non può ritenersi illegittimo che le si inviino armi. Sarebbe, al contrario, illegittimo inviarle alla Russia.
Questa la soluzione giuridica. Ma, diritto a parte, non vi è bisogno di pensare più di tanto per comprendere come la scelta di inviare su larga scala armi all’Ucraina potrebbe portare ad un inedito quanto pericolosissimo allargamento del conflitto, come quando si volesse spegnere un incendio usando benzina.